San Giuseppe

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ARTE SACRA

Argenti della Confraternita

La Confraternita di S. Giuseppe di Messina è tra le poche confraternite cittadine che possiede un considerevole patrimonio di argenti, secolare testimonianza di fede e di culto, di cui qui si presenta una vasta campionatura.

Le opere, tutte inedite, la cui delimitazione cronologica va compresa tra il XVI e il XX secolo, sono nella maggior parte di produzione messinese; fa eccezione un Secchiello per acqua benedetta, corredato di aspersorio, databile al XVI secolo che reca sul bordo superiore il tipico punzone cinquecentesco napoletano "NAPL" a lettere latine maiuscole staccate con sovrastante corona; il bollo consolare "AC", e le sigle "MM" potrebbero essere state aggiunte in epoca posteriore.

Il Secchiello, il cui manico è risolto in rigido setto fogliaceo con impugnatura ad anello e bocciolo al centro in argento sbalzato, presenta gli agganci a forma di mascheroni di gusto rinascimentale; un motivo decorativo rigorosamente geometrico, costituito da piccoli elementi romboidali, copre l'intera superficie divisa in quattro grossi lobi. Analogo decoro intervallato da ornamento a fregi obliqui, costellati da piccole cavità, si riscontra in alcuni secchielli, identici tra loro, di maestranza palermitana, databili alla prima metà del XVII secolo, appartenenti alla chiesa madre di Castelvetrano (M. Vitella in M. C. Di Natale, Il tesoro dei Vescovi, 1993, p. 101), di Geraci Siculo (M. C. Di Natale, I tesori della Contea dei Ventimiglia„ 1995, p. 35 ff. 21, 22), al territorio comasco (O. Zastrow, Capolavori di Oreficeria sacra nel comasco, 1986, p. 168 f. 540), e a chiese mes­sinesi come quella di S. Giuliano di Messina e di S. Domenica di Mandanici.

Tra la suppellettile liturgica prodotta nel corso del Seicento, epoca nella quale a Messina fiorirono in modo particolare orafi ed argentieri (C. Ciolino, Orafi ed Argentieri al Monte di Pietà. Artefici e Botteghe messinesi del sec. XVII, 1988, catal. mostra) meritano particolare rilievo: una Navetta portaincenso con cucchiaino coevo, in argento lavorato a sbalzo e cesello; la decorazione ha motivi in prevalenza baccellati. Sul bordo superiore accanto allo stemma della città di Messina si riscontra la data 1623, e le sigle consolari "MC"; sulla base le sigle dell'argentiere "P.DO" da riferire plausibilmente a Placido Donia, che eseguì nell'ottobre 1646 due Reliquiari e 6 candelabri d'argento per la Cappella di S. Maria della Lettera del Duomo di Messina. La Navetta ha base circolare, fusto con nodo, e coppa a forma di piccola navicella con coperchio munito da due valve, in parte mobili, congiunte da cerniera centrale.

Un Calice firmato da Pietro Juvara, artista notevole del Seicento siciliano di cui si leggono le sigle, "PET" "IVA", sulla coppa e sull'orlo della base sotto la quale è incisa l'iscrizione "Ex industrics/eiusdem/ecclesie -/ 1688 D.D.P.F.F.1)". L'opera, ha base circolare con fascia bombata e rialzata su cornice liscia, fusto a più nodi, e sottocoppa a giorno. Esuberante e sontuosa appare la decorazione costituita da volute, fiori, foglie d'acanto, piccoli baccelli, putti e teste di cherubini, fortemente in aggetto nel nodo centrale piriforme, e che si riscontrano in maniera affine in altre opere dello stesso Juvara: un Calice della chiesa della Trinità di Lentini, e un fusto con nodo sagomato e base circolare di un Ostensorio del Monastero di Montevergine di Messina. Il notevole virtuosismo tecnico messo in risalto dai tipi di lavorazione a sbalzo, a cesello, a traforo, e la ricca varietà dell'ornamentazione, testimoniano l'affermato gusto barocco manifestato dallo stesso artista già in altri due preziosi manufatti (oggi al Museo Pepoli di Trapani): un Calice e un Ostensorio d'oro, datato quest'ultimo al 1682, realizzati entrambi con i figli Sebastiano ed Eutichio per la chiesa dell'ex Collegio Gesuitico di Trapani (L. Novara in M. C. Di Natale "Ori e Argenti di Sicilia dall'Ottocento al Settecento", 1989, p. 241).

Un Calice firmato da Giuseppe D'Angelo, figlio di Mario la cui attività si svolse in maniera parallela a quella di Pietro Juvara (M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, 1974, p. 323) mostra le sigle "GIOS" "DANG" sulla sottocoppa, e presenta una base mistilinea dal corpo interno bombato e fusto a più nodi. La decorazione, che si avvale del fondo in parte granito, è formata da volute, foglie, motivi a conchiglia e teste di cherubini, fortemente aggettanti nel nodo centrale a sezioni triangolari, che si ripetono sulla base e sulla sottocoppa.

Alla seconda metà del XVII secolo risale un Calice d'argento di base circolare con nodo ovale, decorato unicamente da sottili modanature, ascrivibile alla produzione seriale delle locali botteghe orafe per essere adibito ad uso giornaliero durante la liturgia eucaristica. Sotto la base è l'iscrizione "D Gioseppi Seculo Per sua devotione 1667"; sulla coppa, non coeva, si legge, invece, la data "745" congiunta alle iniziali dell'argentiere "AP" che si accompagnano allo stemma tadino e ad altre lettere "PA...".

Rientra nel repertorio decorativo seicentesco degli esemplari già illustrati un altro Calice, caratterizzato da base circolare impostata su piccolo gradino a cornice, seguito da fascia bombata e da modanature che serve da raccordo al corpo centrale tripartito da testine alate in aggetto; il fusto presenta al centro un nodo a sezione triangolare tra altri nodi di raccordo alcuni dei quali perlinati. La decorazione si arricchisce altresì di volute, foglie d'acanto ed elementi fitomorfi a palmetta. L'opera sulla coppa mostra lo stemma messinese, la data 1695, le sigle consolari "GMC" attribuibili all'argentiere Gaetano Martinez, e le sigle "F.LIV", (da riferire all'artista Francisco Lo ludice, ampiamente citato in carte d'archivio per lavori della Catte­drale di Messina, ove diverse opere rivelano queste iniziali che si adattano al suo nome e cognome, e che non sono da scambiare con quelle analoghe "FL.IV" ascrivibili, invece, a Filippo Juvara, essendo ben chiaro altresì che non è possibile, secondo una corretta lettura delle abbreviazioni, accostare la sigla "F.LIV" o "F.L.IV" a Francesco Natale Juvara.

La stessa sigla "F.LIV" e la data 1698 si riscontra sul bordo del coperchio di una Pisside sulla cui base, sotto la quale è l'iscrizione "S. Gios da Padron Gios: Pitrolino 1698", è ripetuta F.LIV con accanto le iniziali consolari "A.DC.". La Pisside presenta una struttura tonda liscia, base circolare alzata su gradino seguito da fascia bombata che si ripete nel coperchio, fusto raccordato alla base e alla coppa da rocchetti. Il nodo centrale è piriforme, il coperchio ad incastro ha tesa circolare e sorregge un piccolo globo con crocetta apicale. Tutta la superficie è percorsa da una serie di modanature degradanti.

Tra le opere di produzione settecentesca è un Calice di base tonda il cui fusto a più nodi ha quello centrale di forma ovoidale, sotto la coppa mostra una ridotta decorazione composta da volute fitomorfe a lieve sbalzo; sulla coppa si riscontrano la data 1702, lo stemma di Messina, le lettere consolari "A.F.C." e le sigle dell'argentiere "L. GA".

Una Croce reliquiaria in argento con raggi in argento dorato, mostra al centro un portareliquie ovale in cristallo contornato da quattordici elementi tondi contenenti pasta vitrea rossa a mo' di gemme; le estremità dei bracci sono ornate da testine alate in argento fuso, poste su piccole nuvole in argento sbalzato. La Croce datata 1728 presenta le iniziali consolari "F. DOC" e le iniziali dell'argentiere "P.MZ" (riscontrate pure in una elegante base mistilinea di un Ostensorio della stessa Confraternita, costituito da elementi di diversa epoca, raggera del 1707 e base del 1729), la base di epoca diversa, reca le sigle "DC", lo stemma di Messina e le sigle "GBG" congiunti alla data 815. Sul verso della Croce, nella parte di congiunzione, risalta lo smalto policromo che ricopre il coperchio della teca raffigurante "La salita di Gesù al calvario sotto il pesante legno della croce". L'opera riveste una grande importanza in quanto documenta nel Settecento inoltrato la prosecuzione di una fiorente e fortunata produzione messinese collegata all'attività della lavorazione dello smalto di cui per il secolo precedente era stato celebre l'orafo messinese Giuseppe Bruno, allievo di Giovan Battista Quagliata (Messina 1603 - 1674).

Una Lampada pensile dalla struttura tondeggiante munita da tre catenelle a nove maglie piatte r ipresenta gli agganci, posti sul corpo centrale, costituiti da tre teste di cherubini in rilievo; la decorazione è costituita prevalentemente da baccelli, elementi fitomorfi e da foglie acantiformi. L'opera reca la data 1730, la sigla consolare "I-.IC" e la sigla dell'argentiere "NN".

Di particolare rilievo artistico appare l'originale Reliquiario di San Giuseppe in argento, rame dorato e cristalli di rocca, databile al 1739 come si evince dalla base ove sono impresse anche le sigle "P.M.Z" e "PDG". L'opera per la struttu­ra architettonica rientra nella tipologia dei reliquiari vasiformi, è caratterizzata da esuberante e sfarzosa decorazione costituita da volute, conchiglie, testine alate, elementi fitomorfi, perline e motivi a rocaille e a mantovana, realizzati a sbalzo, fusione e a bulino.

Datato al 1741 è un Incensiere dalla base tonda con cornice, coppa bombata, coperchio a giorno e impugnatura a campanello. La decorazione presenta baccellature, volute contrapposte, foglie, ovoli. Nell'opera si riscontra la sigla "P.L." (riferibile a - Placido Lancella, argentiere messinese documentato al 1752) che si rileva anche in altre opere della stessa Confraternita come un Calice e tre Medaglioni.

Il Calice in argento, ha base circolare su gradino e fascia bombata; il fusto ha nodo principale a pera ed è raccordato da elementi a rocchetti; tutto il Calice ha superficie liscia continua, interrotta da brevi modanature.

Gli Emblemi confraternali recano la data 1755, ed anche la sigla dell'argentiere "G.C" che potrebbero attribuirsi a Girolamo Calamita. I medaglioni hanno forma ovoidale e sono arricchiti da elegante cornice con corona, decorata da volute contrapposte, motivi a rocaille, foglie e fiori; al centro risalta la figura, a mezzo busto, del santo titolare della confraternita: San Giusappe che reca il Bambino in braccio.

Appartiene al servizio dell'altare maggiore, per la funzione solenne della messa cantata, una serie di sei Candelieri in argento e bronzo dorato; ciascun candeliere è composto da ampia base rotonda con piedini a voluta, da fusto a più nodi, e da piattello  circolare con al centro una punta a sostegno della candela. I candelieri presentano un delicato repertorio ornamentale caratterizzato da superficie embricata che genera un luminoso effetto chiaroscurale accentuato dalla raffinata esecuzione, e varia tecnica adoperata per la lavorazione, realizzata a sbalzo, a fusione e a cesello. Su ciascun candeliere si riscontrano la data 1760, la sigla consolare "NI.C", e la sigla "S.S". attribuibili all'argentiere messinese Stefano Stagnitta. Un gradevole effetto cromatico–chiaroscurale caratterizza un Ostensorio dalla base mistilinea con piedini a cartoccio e a conchiglia. La base, divisa in tre riquadri, reca nella parte anteriore un cartiglio con la figura a mezzo busto di San Giuseppe con il Bambino. La raggiera, realizzata con raggi di varia lunghezza in una alternanza di argento e argento dorato, presenta una teca circolare in cristallo corredata da ricca cornice con gem­me, e un fiocco in lamina d'argento dorato posto al centro in basso del quale si dipartono spighe di grano e rametti floreali con ametiste incastonate. Il fusto a più nodi, mostra quello centrale dalla tipologia a lampione, arricchito da motivi a palmetta, grappoli d'uva, volute e foglie perlinate. Nell'opera sono individuabili il marchio della città di Messina, le iniziali "P.C." e la sigla "O.L."(ascrivibili ad Onofrio Lancella), comprensive delle ultime due cifre riferite all'anno 1782. Le stesse iniziali "O.L." ricorrono in altre due opere della stessa Confraternita, un Calice e una Teca ove si riscontrano la data 1792 e la sigla dell'argentiere A L.

Il Calice presenta una base alta gra­dinata, tripartita da grosse volute fogliformi; sugli spazi sono effigiati S.Giuseppe con il Bambino, la Madonna ed il Velo della Veronica. Gli ornati, peculiari dello stile rococò, risultano analoghi in alcuni elementi a quelli (cfr. ad es. le volute a cartoccio applicate) del citato Ostensorio. Il fusto è costituito da nodo principale intervallato da altri di raccordo, il reggicoppa a giorno ha orlo libero.

Di particolare morfologia appare la Teca utilizzata per contenere l'ostia grande per l'esposizione eucaristica; un esemplare affine si riscontra nel tesoro della chiesa Madre di Monforte San Giorgio. Essa è formata da piccola base circolare bombata con esile cornice e crocetta apicale; la superficie è priva di elementi decorativi ed è percorsa solo da modanature concentriche.

Tra le opere di produzione ottocentesca è una elegante Cartagloria a cartella dai profili mistilinei in lamina d'argento sbalzato, il perimetro interno è arricchito da una sottile cornice dorata costituita da modanatura con perline. I peducci sono a voluta con foglia increspata, e sono sorretti da piccoli zoccoli rettangolari. Un ricco fastigio orna la parte superiore che presenta un medaglione ova­le con la raffigurazione a mezzo busto di San Giuseppe con il Bambino; Nel margine inferiore due ghirlandine sorreggono un cartiglio con corona nel quale è incisa l'iscrizione: "Dom.'° Tribodo / Fece / Per sua Devozione / nell'anno 1808" . L'anno 1808 ricorre sull'opera ac­canto alle iniziali " S.F. ", attribuibili all'argentiere messinese Salvatore Fumia che si accompagnano allo stemma di Messina e alle iniziali dell'argentiere "S.G.". Lo stesso Fumia realizza nel 1815, a corredo della Cartagloria, le due cartaglorie laterali sulle quali si riscontra, anche la sigla "GMP". Le opere sono identiche e presentano una decorazione simmetrica tratta dal repertorio caro allo stile Impero, che trova affinità nel decoro di un'altra elegante Cartagloria realizzata dallo stesso Fumia, nel medesimo anno, per il Monastero di Montevergine di Messina. Appartengono alla produzione del Fumia, inoltre, una coppia di Lampade della Confraterinta, sulle quali sono visibili anche le iniziali "D.S." attribuibili all'argentiere messinese Domenico Spina che esegue nel 1819 un servizio completo di Cartagloria per il Duomo di Messina.

Festoso e scenografico con rilevante effetto di profondità spaziale è il Reposítorio custodia per il Sacramento, usata in particolari occasioni liturgiche come dal Giovedì al Venerdì della Settimana Santa. L'urna, dalla conformazione trapezoidale, reca le iniziali "A.A.", la sigla "N.S.E.A" associata alle ultime due cifre dell'anno 1826, e lo stemma messinese nonostante sia presente la nuova punzonatura (costituita in questo esemplare dalla testina di Cerere con il numero 8) stabilito da Francesco I il 14 aprile dello stesso anno 1826 con Regio Decreto, che sanciva le nuove norme per bollare l'oro e l'argento in 67 articoli, dopo l'abolizione delle maestranze. Vario risulta l'apparato decorativo formato da coppia di lesene, cornici aggettanti, angeli, putti, e piccoli leoni, con aquila, nella parte centrale a tutto tondo, nell'alternanza di ghirlande floreali e di contrasti luminosi. Al centro, in un pannello rettangolare, è raffigurata una scena inerente alla vita di San Giuseppe di Nazareth, riguardante la visita dell'Angelo al momento della Concezione di Gesù; Giuseppe è disteso, addormentato, sotto un albero mentre un Angelo, disceso dal cielo, lo tocca con un gesto della mano.

Di buona fattura sono due Palme floreali per ornamento degli altari, in argento sbalzato identiche ad altre due (comprensive della base originale in legno dorato a mo' di vaso) del citato Monastero di Montevergine e sulle quali è visibile la sigla "A.DA".

Una serie di opere, in lamina d'argento e argento dorato, lavorato a sbalzo, incisione e traforo, alcune delle quali simboleggianti i simboli iconografici del Santo titolare della chiesa (bastone fiorito, Cestino con attrezzi di falegname, piccola croce, aureola, monile costitu­ito da catenella con medaglione) costituisce l'arredo del gruppo ligneo posto sull'altare maggiore della chiesa che rappresenta San Giuseppe effigiato a figura intera nell'atto di condurre il Bambino con la mano sinistra. In tutte le opere è incisa l'iscrizione dedicatoria del committente "Per Devotione / Di Patrone / Silvestro /Fazzio" che li ha fatte realizzare nel 1838, data riportata su alcune Opere sulle quali è visibile altresì il bollo di garanzia: testa di Cerere con il n. 8.

Il Gruppo statuario, ricoperto da una veste d'argento con decoro floreale, che trova affinità con altre due statue cittadine, di soggetto mariano, e di diversa datazione, custodite presso la chiesa di S. Francesco all'Immacolata e la chiesa di S. Antonio Abate, potrebbe essere ascrivibile, artisticamente, alla famiglia Buceti della quale si riscontrano i nomi di diversi componenti (Giuseppe, Letterio e Placido) in un manoscritto intitolato "Capitoli che s'osservano nella Confrater­nita di S. Giuseppe di questa Nob. Città ", attinente all'attività di "Mastri d'Ascia di potega, Mastri d'Ascia di Noce quanto di Mastri d'Ascia dell'Opera della Marina", nel quale alcuni familiari risultano aver ricoperto la carica di Regio console come Giuseppe nel 1753, e Letterio nel 1760 e 1770. In rife­rimento alla Veste d'argento, La Corte Cailler informa che venne realizzata per voto di don Nunzio Maiani nel 1902 e riformata perché non gradita alla Confraternita, prima della successiva festività del Santo da un argentiere napoletano, coadiuvato dall'orefice messinese Giovanni D'Amico. Lo stesso La Corte riferisce inoltre che l'intaglio della statua, risalente al 700, fu realizzato ad Acireale da Giacinto Castorina Canzirri (O. La Corte Cailler, Il mio Diario, I (1893-1903), a cura di G. Molonia, 1998, p. 202).

E' proprietà della Confraternita di S. Giuseppe pure un gruppo di opere appartenenti alla categoria degli ex voto, alcuni in lamina d'argento, rea­lizzati a stampo, hanno forma di cuore, con cornice sormontata da motivo a fiamma; altri in oro sono monili. Taluni di questi sono attribuibili presumibilmente ad ambito messinese (C. Ciolino, Per una storia della gioielleria a Messina, in La tradizione orafa a Messina dalle origini ai nostri giorni, 1990, pp. 3-49).

Tra i pezzi di particolare rilievo un Anello seicentesco di forma rotonda a mo' di fiore a otto petali con grossa corolla centrale, un paio di Orecchini dalla tipologia a bottone con cammei in stile neoclassico ascrivibile alla prima metà del XIX secolo  e una collana costituita da quindici elementi fatti in serie secondo la sempre più diffusa industrializzazione ottocentesca, con raffinato pendente a croce arricchito da ametiste e perle incastonate in una accurata lavorazione, secondo la tecnica della granulazione mista  e a filigrana.

 

                                           Dott.ssa Caterina Ciolino

                           Direttore Sezione Beni Storici Artistici ed Iconografici

                          Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Messina

Medaglione della Confraternita